VAGARE, FERTILE LUCE
di GIULIA SCANDOLARA
Domenica 12 novembre 2017 h 18.00
Circuiti Dinamici
Via Giovanola 19 – Milano
a cura di Cinzia Bollino Bossi
Nelle opere di Giulia Scandolara c’è un’innegabile qualità coreutica, un ritmo di danza che ha il respiro e le movenze di un corpo immerso nello spazio puro e vuoto dell’origine. Il gesto costruisce la trama pittorica, attraverso il coagularsi del colore oppure lungo linee e grafemi che percorrono la tela, la segnano, la incidono. La gamma cromatica è vastissima ma pacata, quasi embrionale. È composta da toni umbratili e ottobrini, da sfumature ferrose e sulfuree, da trasparenze opaline e perlacee. È un colore leggero, si direbbe liquido. Eppure sa farsi materia, sa rapprendersi in zolle di terra e imitare le nuvole del cielo. Sa farsi acqua aria e fuoco, erba e mare. Sa scorrere e fermarsi. È un colore figlio di tecniche diverse – l’impalpabile leggerezza del gessetto, la matericità delle vernici, l’incisività della graffite – che si dispone sovente obbedendo a un incedere orizzontale, o obliquo. La danza è quindi in quel movimento che prende vita e forma sulla tela: un tendersi verso un altrove della forma-pittura, che librandosi diffonde energie e polveri di colore prezioso. Queste energie e queste polveri, lievi ed impalpabili, sono come semi che fecondano, in un ciclo continuo e persistente. Non è un caso che l’artista ricorra spesso alla dualità del dittico o che metta in relazione le sue opere facendole dialogare l’una con l’altra, creando un discorso pittorico oppure lasciando che le parole della pittura generino un’eco che si propaga nello spazio. Perché altra dimensione propria della ricerca di Giulia Scandolara è quella temporale. Infatti, pur nella bidimensionalità delle carte o delle tele, la materia pittorica, che sempre lascia possibilità al supporto di emergere, di dirsi, di farsi vedere, sembra proseguire oltre. Con l’immaginazione continuiamo il gesto, il segno, la massa di colore, certi non di completarli – ché già in sé sono svolti e conclusi – bensì di riconoscerne l’eco, l’eredità. Perciò, oltrepassando con passo leggero il limite della tela, queste opere si dilatano nel tempo. Nel tempo durano, del tempo acquisiscono stratificazioni e storie. Può la pittura raccontare storie? Forse quella figurativa, debitamente organizzata, disposta, articolata. L’arte astratta, così come la musica, non è arte narrativa. Ma suggerisce, invita l’immaginazione a riconoscere il farsi voce del colore, a ritrovare il gesto che è stato esperienza, la forma che è stata natura e che, dissolta nel tempo vasto della memoria, è diventata respiro. È Turner maestro ed esempio vivissimo, moderno più che mai, di uno sguardo così penetrante ed esclusivo nella materia della natura.
Ma a differenza di Turner, a cui la superficie pareva non bastare, Giulia Scandolara concentra sempre l’attenzione su un singolo momento dell’infinito respiro della vita, lo dilata, lo fa diventare altro e lo fa danzare nello spazio. Una foglia, increspatura secca d’autunno, ritrova il vento e la clorofilla della vita; un legno, chimica e cellulosa rinchiuse dentro una forma levigata dai giorni dai venti e dalle acque, riprende vigore verticale di forma, germoglia nuovamente prestando la sua linea e la sua forma al gesto pittorico. Tutto diventa altro, perché il respiro pulsante dell’universo tutto trasforma e niente lascia certo, stabile, manicheo. Ogni ricerca pittorica e artistica dovrebbe aiutarci ad avere uno sguardo diverso, altro, su ciò che ci circonda. E la ricerca di Giulia Scandolara questo insegna: il valore dell’ascolto, il potere del silenzio, la necessità del dialogo. Ci insegna che la verità non è nell’urlo, ma nel vibrare silente della materia, nel magma impreciso delle emozioni. Ci invita a fermarci, noi sempre in affanno, a osservare la sua pittura come se ci guardassimo allo specchio e a ritrovare, a ritrovarci. Cinzia Bollino Bossi